Il piano di Marchionne è chiaro e assume contorni sempre più precisi man mano che ci si avvicina alla separazione dell’auto dagli altri business del gruppo, diluendo la proprietà degli eredi dell’Avvocato. Fiat non è riuscita a conquistare quote di mercato nei segmenti medi e alti del mercato soprattutto europeo dove gli utili sono significativi. Gli azionisti non ci hanno creduto e non hanno messo a disposizione gli investimenti necessari per fare una vera concorrenza ai marchi tedeschi ed il Lingotto è costretto a farsi largo nelle auto a buon mercato, dove si guadagna poco e sono determinanti gli aiuti pubblici.
Ed è proprio nel fare incetta di aiuti pubblici ovunque in giro per il mondo dagli Usa, alla Serbia, dal Messico alla Polonia che Marchionne ha rivelato il suo vero talento: in questa speciale graduatoria Fiat è seconda solo alla GM ed è davanti a gruppi molto più grandi e robusti. Dall’elenco dei Paesi che sovvenzionano in mille modi l’industria l’Italia si è sfilata e questo ha determinato l’avvio di una nuova e profonda ristrutturazione degli stabilimenti tricolore che ha già fatto una prima vittima in Sicilia e si prepara a svuotare Mirafiori. Davanti a questa realtà i richiami a mantenere le antiche promesse e gli elogi all’abilità delle maestranze piemontesi pronunciati ad alta voce da un lungo elenco di uomini politici e sindacalisti con in testa Sergio Chiamparino e Roberto Cota suonano come parole vuole. E quasi ridicole sono anche le accuse alla Fiom perché è noto che il costo del lavoro rappresenta solo il 7 per cento del costo complessivo di fabbricazione.
Ci vuole ben altro per correggere i piani di Marchionne, ma si tratta di un “altro” – e cioè di soldi – che il centrodestra di Silvio Berlusconi non vuole impegnare nella partita torinese in omaggio alle difficoltà del bilancio e ad un antico astio che ha sempre considerato Torino come il fortino nordista della resistenza al magnate delle tv. Forse più che le retoriche parole di chi si siederà accanto a lui in Regione Marchionne farebbe bene a tenere a mente l’avviso che seccamente gli ha rivolto l’Osservatore Romano. Più o meno suona così: se una grande azienda utilizza il suo mercato di casa solo per guadagnare senza distribuire nulla e dunque impoverendo la sua nazione un giorno o l’altro pagherà un conto salato. Speriamo che il Lingotto tenga conto dell’avvertimento del Vaticano altrimenti dovremo rassegnarci a veder trasformata la fabbrica di Mirafiori nella capitale della cassa integrazione con una spesa pubblica che in confronto i forestali calabresi sono poca cosa.