Via Il Barbiere della Sera e Rosebud
Secondo la normativa italiana, chi non è iscritto all’Ordine, pur svolgendo un lavoro di tipo giornalistico, non può considerarsi un giornalista. La professione del giornalista è dunque formalmente regolamentata ed è fondata su una precisa deontologia, ovvero su una sorta di meccanismo etico che le appartiene e che lega in un binomio inscindibile la bontà del fine con la liceità del mezzo utilizzato per raggiungerlo quel fine. Più semplicemente, chi esercita il mestiere del giornalista si occupa di giornalismo, ovvero di quell’attività editoriale specializzata “nella raccolta, nell’elaborazione e nella trasmissione di notizie”.
Rimarcare che questa è una professione legalmente riconosciuta, che ha una sua ragione morale, che ha un suo scopo e una sua precisa modalità di estrinsecazione operativa non è un esercizio fine a se stesso. In questi tempi digitali, serve soprattutto a rammentare che il “mestiere” ha una identità ben definita.
Anche l’etimologia è un elemento importante. Ci ricorda che il termine giornalismo deriva dalla parola “giornale”; e che non si può parlare di “giornale”, o di “giornali”, senza conoscerne il particolarissimo universo. Nello specifico, un mondo fatto di carta, di costosi macchinari per la stampa, di necessità tecniche e di spazio, di scrittura ridotta all’essenza, di redazioni e di redattori, di editori e di un dato potere. Il cosiddetto “quarto potere” appunto. Un centro decisionale nevralgico che nel corso del XX secolo ha avuto un ruolo determinante nel modellare l’immagine del mondo-intorno.Tutto questo, mentre il mito della “libertà di stampa” – in America più che in ogni altro luogo – non ha mai smesso di affascinare molti spiriti. Agli altri, non è rimasto che imparare a convivere con la certezza che una tale perfetta autodeterminazione non avrebbe mai potuto esistere. Bisognava accontentarsi quindi. Accontentarsi dell’idea che a “filtrarla” per noi fossero stati “chiamati” gli occhi di una casta. Perché non vi sono dubbi che anche il giornalismo – persino quello più “illuminato”, quello che ha saputo farsi grande con i suoi tanti martiri – non ha mai fatto eccezione; e dunque non ha mai saputo, o voluto, fuggire il destino segnato di struttura piramidale governata da… uomini. Con tutti i loro limiti.
Sulla possibilità che – a livello informativo – il nuovo-che-sta-arrivando possa essere chiamato giornalismo, o giornalismo online, che dir si voglia, mantengo invece le mie riserve. Più esattamente, mantengo le mie riserve sull’idea che l’informazione raccolta, elaborata e trasmessa per via digitale possa essere considerata “giornalismo” in senso tecnico. La precisazione è importante, perché altra cosa è l’aspetto intellettivo-creativo che accomuna il destino di ogni spirito-che-scrive (i.e. giornalisti si nasce!). Di sicuro, la personale incapacità di capire questa probabile verità (ovvero l’eventualità della non perfetta macro-corrispondenza tra le dinamiche del giornalismo tradizionale e quelle della sua trasposizione digitale, nonché le differenze riscontrabili a seconda dell’approccio analitico) è stato l’anello mancante che per molto tempo mi ha impedito di chiudere con la mia analisi di queste tematiche.
Conseguenza delle cose, è la mia rafforzata convinzione che il giornalismo morirà con i giornali! Mentre la risposta all’amletica domanda: “Sono un giornalista se pubblico solo in Rete?” non potrà che essere “No!”. Un informatore, un opinionista, un commentatore che esercitasse la sua professione solamente online non potrebbe mai essere considerato un giornalista. Lo abbiamo appena visto. Non potrebbe esserlo da un punto di vista legale, non potrebbe esserlo da un punto di vista di mera organizzazione del lavoro, ma non potrebbe esserlo neppure rispetto alle necessità operative dell’universo digitale di riferimento.
Alla maniera del vecchio “mestiere”, infatti, anche l’informazione trasmessa in Rete ha delle necessità proprie di “produzione”. Delle modalità di estrinsecazione senza le quali non potrebbe esistere. Tra le tante, mi viene in mente la maggiore comunione tra lo “scrittore” ed il suo scritto, in virtù del quale lo stile dell’informatore online diventa la sua firma. Riconoscibilissima e refrattaria ad una qualsiasi omologazione formale e formalizzante. La scrittura informativa digitale – liberata da ogni costrizione editoriale – acquista colore e carattere. Espressione compiuta della forza delle idee che la giustificano. Mentre la concreta possibilità di un suo scadimento qualitativo non potrà che essere una delle grandi sfide da risolvere per l’editoria che sarà.
Di certo, vi è soltanto che il giornalista “storico dell’istante” di camusiana memoria, vedrà accresciuta questa sua responsabilità. A fare in modo che ciò accada, ci penserà la capacità unica della Rete di moltiplicare ogni istante-informativo in milioni di altri istanti. Diversi e contestuali. Per associazione mentale, mi torna alla memoria l’effetto avuto dalla teoria della relatività di Einstein sul concetto assoluto di spazio-tempo che aveva dominato fino a quel momento. Un modo come un altro per dire che se la raccolta e l’elaborazione della notizia tradizionale poteva essere compito non facile, una raccolta e una elaborazione digitale professionale non sarà un lavoro meno impegnativo. Al contrario, richiederà quasi certamente risorse umane e intellettuali non indifferenti. Un superuomo e una superdonna forse. Speriamo siano tali anche nella loro moralità.