Sostiene Steve Jobs, amministratore delegato di Apple: “Non voglio che ci trasformiamo in una nazione di blogger”. E aggiunge: “Una delle mie convinzioni più profonde è che la democrazia dipenda da una stampa libera e forte”. Ergo, si devono: ” aiutare quelle organizzazioni che stanno cercando nuovi modi di diffondere le notizie, pagandole, in modo che possano mantenere intatta la loro organizzazione”. Insomma, Jobs come Murdoch e De Benedetti.
Fin qui quasi nulla di nuovo. Agli editori piace fare distinzioni tra giornalismo di serie A (grandi giornali) e di serie B (blogger o siti di informazione e controinformazione). Come non condividere l’appello alla democrazia che dipende da una stampa libera e forte? Certo Jobs non conosce bene gli editori italiani e quanto pagano i loro collaboratori. E’ ovvio che i lettori sono disposti a pagare, purché si tratti di informazione di qualità e di inchiesta, originale, non velinara.
Steve Jobs – però – sembra predicare bene e razzolare male. Lo spiega bene Enrico Pedemonte sull’Espresso on line, nei suoi articoli “Jobs il censore” e “Quale edicola per Jobs”. Scrive Pedemonte: “Pochi giorni fa Apple ha escluso dall’iPad l’applicazione presentata dal repubblicano Ari David candidato al Congresso contro il democratico in carica, Henry Waxman”. E aggiunge: “Per inciso ricordo che pochi giorni fa Apple ha superato Microsoft ed è diventata la società high tech con la maggiore capitalizzazione al mondo. E che vanta già un sostanziale monopolio sulle vendite di musica online. Supponiamo che questa egemonia si allarghi alla distribuzione dei giornali. Tutti d’accordo che sia Steve Jobs (e non la legge) a decidere quali testate possano apparire sulla sua edicola”?C’è in giro una voglia matta di preselezionare, circoscrivere, escludere. Che alla schiera si aggiunga un (ex?) guru visionario e libertario come Jobs non può che preoccuparci.