Sarebbe importante che si iniziassero a fare i nomi degli stfuttatori, che sono ad oggi molto più frequenti nei media tradizonali e che spesso restano impuniti per le omertà di giornalisti o sindacalisti complici. E così la credibilità di giornalisti ed editori finisce ai minimi storici. Si potrebbe dire l’omicidio di massa per ingordigia del sistema dell’informazione italiana. Via Larepubblicaceglistagisti
Ho 26 anni e il giornalismo è la mia grande passione: compro cinque-sei quotidiani ogni giorno, leggo di tutto e mi informo su qualsiasi argomento. Se potessi lavorare per Report vedrei avverarsi un sogno. Per diventare pubblicista, ho accettato di pagarmi da sola i contributi scrivendo per un blog online con incarichi da freelance ufficialmente retribuiti. In realtà, il mio direttore mi rilascia le ritenute d’acconto e io gli restituisco i soldi in contanti. Ovviamente non ho nessuna retribuzione: di fatto, pago in tasse circa 160 euro ogni sei mesi e in più lavoro gratuitamente per scrivere gli 80 articoli in 2 anni richiesti dall’Ordine del Lazio
Come sono arrivata a questo punto? La mia storia è semplice: mi sono laureata nel 2007 alla facoltà di Scienze umanistiche della Sapienza di Roma. Avevo già in mente l’obiettivo del giornalismo, ma ho voluto evitare la laurea in scienze delle comunicazioni perché è considerata un po’ un “parcheggio” e perché qui a Roma c’erano già migliaia e migliaia di iscritti con lezioni tenute nei cinema. I miei sono della provincia, quindi ho anche i problemi e le spese di chi vive fuori sede. Dopo la laurea mi sono messa in cerca di annunci da parte di giornali disposti a pagare le ritenute d’acconto per diventare pubblicista. Ho trovato soltanto un quotidiano che però non pagava gli articoli, neanche in nero: ne ho approfittato per fare più o meno un anno di pratica in redazione, a titolo totalmente gratuito, e nel frattempo mi sono cercata uno stage. Sono stata tirocinante in una grande emittente televisiva per circa 6 mesi, dove mi sono occupata dell’ufficio stampa di una trasmissione d’informazione, poi sono stata per qualche altro mese in una radio della capitale, e infine ho iniziato uno stage in un’agenzia stampa. Me ne sono andata subito, però, perché ormai avevo capito l’andazzo ed ero proprio stufa: anche qui facevano moltissima leva sul lavoro dei ragazzi, chiedendoci di lavorare per nove ore al giorno, il tutto senza nessuna retribuzione o rimborso spesa, neanche i ticket per la mensa.
La buona notizia è che, grazie ai contatti che mi ero procurata nei mesi di stage, sono riuscita ad avere un contratto a progetto (retribuito!) per fare rassegna stampa. La cattiva notizia è che l’agenzia che mi aveva impiegato, dopo un po’, ha rischiato di fallire e ha dovuto fare tagli al personale. Mi sono ritrovata di nuovo disoccupata, ma nel frattempo avevo preso contatti con il direttore del blog sul quale ancora scrivo.
È andata così: ho trovato l’ennesimo annuncio, ho risposto, e il direttore mi ha chiesto di fare un servizio di prova. Sono andata a seguire un evento di cronaca bianca presso il Municipio di Roma, provvista di registratore e pc – il tutto acquistato ovviamente di tasca mia. Ho inviato l’articolo in redazione e il direttore è rimasto contento: “c’è qualcosa da migliorare”, mi ha detto, “però penso che tu possa imparare bene come si scrive di cronaca e politica”. Alla fine l’ho incontrato, il direttore: un ragazzo giovane, ben ammanicato in certi ambienti politici. Mi ha fatto un discorso che in parte capisco anche: per mantenere l’indipendenza del blog, ha rifiutato di avere qualsiasi finanziamento e adesso se la deve cavare con le sue forze. “Quindi, per la pratica da pubblicista non c’è problema, purtroppo però non posso pagarti. Facciamo così: io ti faccio le ritenute d’acconto, e tu mi dai i soldi per pagarle”.
Cosa avrei dovuto fare? Ho accettato. Non è che mi aspetti che cambi molto nella mia situazione, una volta diventata pubblicista. Il tesserino rappresenta più un punto saldo, un’ancora simbolica che voglio raggiungere come obiettivo personale. Nel frattempo mi guadagno da vivere come segretaria part-time o come hostess nei ricevimenti: ci sono mesi in cui non ho nessuna retribuzione. Ho, però, il supporto dei miei genitori che ovviamente sono preoccupati per il mio futuro. Cerco di vivere la vita coltivando le mie passioni: sto imparando a usare una macchina da presa, perché credo che dia davvero un valore aggiunto a un giornalista e che un reportage sia in grado di trasmettere fatti ed emozioni in maniera più efficace della semplice carta stampata. Quando ho un weekend libero mi do all’equitazione o al canyoning, una specie di arrampicata al contrario in cui ci si cala da pareti scoscese. E ovviamente penso a come pagare il prossimo articolo che dovrò scrivere.
Sempre LaRepubblicaDeglistagisti fotografa la situazione
Quanti sono i giornalisti. Secondo i dati ufficiali dell’Ordine dei Giornalisti, a settembre 2009 risultano in Italia 108.437 giornalisti. Di questi però meno di 27mila sono professionisti (22.629 in attività e 4022 in pensione). Vi sono poi circa 70mila pubblicisti (62.155 in attività, 7408 in pensione) e 10mila tra elenco speciale e stranieri.
Quanti sono i praticanti. Nonostante la crisi dell’editoria, circa 1000 – 1200 persone all’anno sostengono l’esame di Stato: soltanto il 10% dei candidati (100-120 persone) proviene da un contratto di praticantato (art. 35 del contratto nazionale), e un 20% (200-240) dalle scuole di giornalismo o dai master. La maggior parte dei praticanti sono “d’ufficio”: 700-800 persone ogni anno che non hanno avuto un contratto di praticantato, ma hanno ottenuto il riconoscimento per l’abilitazione a sostenere l’esame direttamente dal proprio Ordine regionale. Ogni anno all’albo “professionisti” dell’Ordine dei giornalisti si aggiungono 800-1000 nuovi iscritti: a fronte di questi ingressi vi sono in media 300 professionisti che ogni anno vanno in pensione o sospendono l’attività. Insomma, per ogni posto che (teoricamente) si libera ci sono due o tre new entry che ambiscono a occuparlo. Nel corso del 2010 la situazione potrebbe cambiare: le aziende che dichiarano lo stato di crisi prevedono dei pre-pensionamenti e molti professionisti si ritireranno dall’attività. Allo stesso tempo, però, le assunzioni saranno bloccate per un periodo di circa due anni.