E’ interessante chiedersi perché alcuni giornalisti vedono internet come una opportunità per reinventare il proprio mestiere (e ci lavorano concretamente), mentre altri si lanciano in anatemi terrificanti e sterili. Due culture del giornalismo, di fatto, una delle quali vede internet come una minaccia assoluta che rimetterebbe in causa non soltanto il monopolio dell’ informazione, quanto le basi stesse dello status e della legittimità sociale dei giornalisti professionali, mentre l’ altra vi scorge un terreno avventuroso, in cui tutto deve essere ricostruito ma in cui c’ è posto per tutti, se si accetta questo cambiamento formidabile della regola del gioco…
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«L’ allargamento dell’ accesso allo spazio pubblico su Internet ha in qualche modo comportato un abbassamento degli obblighi di distanza che hanno fondato le forme del discorso pubblico (politica, giornalismo, mondo intellettuale) piazzandolo nell’ orizzonte regolatore della ragione, dell’ autocontrollo, dell’ argomentazione e dal distacco rispetto agli interessi particolari […] Internet ci ha insegnato che, per allargare il cerchio dell’ espressione pubblica, è necessario tollerare delle enunciazioni in prima persona, dei punti di vista stentorei e delle voci flebili, dei colpi di tosse, delle affermazioni perentorie, delle idee azzardate, poetiche, strampalate, ridicole e vibranti. »
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Sono colpito – continua Narvic – nel vedere come questa miopia li domina. Internet non è affatto quello che loro credono. Non è un semplice « spazio d’ informazione » – di cui si credono, senza dirlo, i proprietari -, ma è prima di tutto uno spazio di espressione e di socializzazione, a disposizione di tutti. E se delle opinioni non ‘’formattate’’, non convenzionali, o anche assolutamente illegali, vi diventano visibili, non significa affatto che esse non esistessero già prima. Erano semplicemente bloccate rispetto allo spazio pubblico tradizionale dai « cani da guardia » che assegnano la parola, cosa che rendeva questa espressioni artificialmente invisibili, e cioè… censurate.…
Ora, su internet non funziona così. La legittimità di esprimersi è acquisita da tutti come un dato di fatto, su un piano di uguaglianza. La legittimità dei discorsi che « emergeranno » da questo flusso incontrollabile di voci – e che per diventare visibili più degli altri verranno rilanciati, ripetuti fino a coprire il resto -, non è acquisita a priori, in funzione dello status di colui che si esprime e delle procedure che applica. Questa forma originale di legittimazione dei discorsi si costruisce su internet a posteriori, come « conseguenza di una gerarchizzazione ex-post effettuata dagli internauti in funzione della loro posizione nella struttura della reputazione sulla Rete » dice Cardon. E’, come rileva la filosofa Gloria Origgi, il web nel suo insieme a costituire una macchina sociale di gerarchizzazione dell’ informazione.
Per il giornalista professionale, e in particolare per quello che è situato nel punto più alto della gerarchia redazionale, il redattore capo, è molto più grave della perdita del monopolio sull’ informazione. E’ la rimessa in gioco dalle fondamenta di uno status che concederebbe a priori una legittimità esclusiva nello spazio pubblico.