Maurizio Molinari e il suo viaggio verso il disastro di Haiti
Un piccolo charter di 21 posti noleggiato a Santo Domingo assieme alla troupe della tv Abc, al “Miami Herald” e ad alcuni giornalisti francesi. Ecco come sono arrivato a Port au Prince dal cielo, visto che il percorso via terra – circa 300 km – dalla Repubblica Domenicana e’ ostacolato da strade inagibili sul lato di Haiti e via mare il porto della capitale e’ stato seriamente danneggiato dal sisma di martedi’. La trattativa per il noleggio del charter e’ stata una sorta di bazar in versione caraibica. Arrivato all’aeroporto internazionale di Santo Domingo con il primo volo partito da New York al mattino di mercoledi’ mi sono ritrovato assieme alla troupe della Abc davanti ad una cabina telefonica per parlare con Air Caribe che, dall’altro e piu’ piccolo aeroporto di San Domingo, gestisce i charter che volano sull’isola Hispaniola che in genere si occupano di turisti.
Dall’altro capo del filo si sono alternate voci di donna differenti, cambiando nome a piu’ riprese, prima negando di poter volare verso Haiti, poi prendendo tempo e infine assicurando di poter trovare un aereo a patto che fosse possibile riempire tutti e 21 i posti, al costo di 10 mila pesos l’uno, ovvero circa 270 dollari. Poiche’ i giornalisti dell’Abc erano quattro, in cinque non ci avrebbero mai preso. E’ cosi’ partita un’affannosa ricerca di altri colleghi appena arrivati dagli Stati Uniti. Prima Jose’ Iglesias, dell”Herald Miami”, poi un gruppo di francesi e infine due cameramen freelance ci hanno consentito di raggiungere il quorum. “Tomate un taxi, lo mas temprano posible” ci ha detto la signora Diaz di Air Caribe facendoci capire che avrebbe dato via i posti ai primi arrivati. La traversata di Santo Domingo e’ avvenuta con un van, ad altissima velocita’.
Tanto noi che l’autista sapevamo che giungendo tardi avremmo rischiato che a salire sul charter avrebbero potuto essere degli altri, magari capitati li’ per caso. Una volta al terminal le procedure doganali sono state sbrigate in pochi minuti e siamo stati catapultati dentro il piccolo bimotore “Mas’, che e’ decollato subito. L’unico imprevisto e’ stato che Air Caribe ha chiesto a tutti noi di pagare in contanti e l’unico bancomat del piccolo scalo e’ andato in tilt a causa della raffica di richieste di 10000 pesos, che a Santo Domingo e’ una cifra considerevole. Ce la siamo cavata cambiando sul posto dollari, per trovare la cifra che manca. Il volo e’ durato circa un’ora, sopra il massiccio montagnoso che segna la continuita’ geografica fra i due Stati che convivono sulla stessa isola.
L’Abc ha iniziato a riprendere tutto cio’ che si vedeva a terra appena il giovane pilota dominicano ci ha detto che eravamo sopra Haiti. Siamo passati prima su alcuni villaggi di montagna, con piccole case isolate a precipizio sui monti, poi sopra le pendici che portano alla grande valle verde che porta alla capitale affacciata sul Mar dei Caraibi. E’ stato allora che le devastazioni del terremoto ci sono apparse via via sempre piu’ chiare. Il bimotore ha fatto due passaggi a bassa quota sulla citta’ prima di atterrare e i quartieri dall’alto mostravano i drammatici segni del sisma magnitudo 7. Case crollate, palazzi sventrati, voragini nelle strade e poche persone in giro, questi tutte a piedi. Non abbiamo visto una macchina, solo qualche motorino.
L’atterraggio e’ avvenuto poco prima del tramonto su una pista dove c’erano i primi aerei con gli aiuti umanitari: un boeing islandese, due velivoli da trasporto della Guardia Costiera degli Stati Uniti e due charter di American Eagle e Miami Air. Scesi dalla scaletta del bimotore abbiamo ricevuto le valigie dalle mani dei piloti che ci hanno letteralmente detto “now you are on you own”, ora cavatevela da soli. Il percorso sulla pista fino all’entrata del terminal e’ avvenuto di fronte agli occhi incuriositi di decine di poliziotti locali, poco piu’ avanti c’erano riunite le famiglie dei diplomatici Usa che stavano evacuando e, in un angolo, l’intera squadra della Cnn, guidata da Sanjay Gupta, arrivata un’ora prima con un proprio charter e accampata dentro l’aeroporto “in attesa di cosa fare”.
Assieme all’inviato del “Miami Herald” abbiamo tentato di uscire dal terminal ma ci siamo trovati di fronte ad una folla di centinaia, forse migliaia, di haitiani che tentavano di entrare sperando di salire su un qualsiasi volo e fuggire. La tensione fra i pochi militari presenti e la folla ci ha suggerito di rimanere nel terminal per tre ore, passate assieme ai militari americani della Guardia Costiera che ci hanno fatto assistere al loro primo briefing su “cosa portare dove”. Nella confusione generale un diplomatico americano mi ha contato fra i connazionali da evacuare, rimproverandomi di non essere in fila come gli altri. Poi accortosi dell’errore si e’ limitato a dire che era contento di avere “un posto in piu’ del previsto”.
Per i colleghi della Abc lo shock e’ stato veder Gupta gia’ sul posto visto che la loro stella, Dianne Sawyer, e’ ancora a Santo Domingo e tentera’ di arrivare questa mattina. Solo a notte inoltrata ci siamo potuti muovere dall’aeroporto a bordo di jeep blindate affittate dalla Abc che ci hanno portato nella base dei caschi blu, dove il personale dell’Onu ci ha fatto cenare con biscotti provenienti dalle razioni militari “Halal” del contingente dello Sri Lanka e acqua minerale purificata. “Sei il primo giornalista italiano che arriva qui” mi ha detto Matteo Manin, giovane volontario di Padova che e’ qui da due anni. Al momento di andare a dormire su giacigli improvvisati i giovani funzionari dell’Onu ci hanno consigliato di “dormire dentro edifici prefabbricati e non in mattoni” nel timore di nuove scosse. Che sono arrivate, forti e puntuali, quando erano le 3.10 del mattino.