Bruno Perini Sul manifesto via Dagospia
La crisi della carta stampata in Italia la si può sintetizzare in una minuscola ma amarissima percentuale che rappresenta il calo delle vendite nel periodo che va dall’ottobre 2008 all’ottobre 2009: -5,2%, pari a 176.000 copie, circa la diffusione di un grande quotidiano. Se si aggiunge il tracollo della pubblicità, la crisi verticale dei collaterali e la crescita dell’editoria online a scapito della carta stampata la diagnosi è assai seria e la prognosi è del tutto riservata.
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: non c’è gruppo editoriale che non sia in stato di crisi. La strategia delle dimissioni incentivate è parzialmente fallita ed ora i grandi editori devono ricorrere agli ammortizzatori sociali per potersi liberare di giornalisti e tecnici, nella speranza che il mercato della pubblicità torni a fornire ossigeno in modo permanente.
In questo momento sono in corso trattative tra editori e sindacati per attutire il colpo ma dal fronte dei grandi giornali non ci sono buone notizie. I dati che abbiamo citato, (essendo fonte Fieg possono essere addolciti) naturalmente sono una media e dunque se ci si addentra nei meandri delle singole gestioni editoriali si trovano delle sorprese.
In valore assoluto, stando ai dati diffusi da Fieg, pubblicati dal mensile Prima Comunicazione, il primato nelle perdite va al Corriere della Sera che in un solo anno ha perso 64.000 copie con una percentuale del 10,8%. In via Solferino sono passati in dodici mesi da 595.300 copie a 530.800, registrando, si dice, uno dei punti più bassi delle vendite in edicola.
Il direttore Ferruccio De Bortoli ha ereditato una situazione non piacevole che a quanto pare persiste anche nei mesi successivi a ottobre. La nuova edizione online del Corsera, con la possibilità di ascolto degli articoli e una ottima possibilità di lettura e di sfoglio, è molto felice ma è possibile che questo accresca i pericoli di cannibalizzazione del quotidiano su carta.
Se il Corsera piange il Sole 24 ore non ride. Per diverse ragioni. Il quotidiano diretto da Gianni Riotta detiene, nello stesso periodo analizzato dalla Fieg, il primato in termini di percentuale negativa sulle vendite: – 17%, pari a -59.500 copie. Anche in questo caso i valori assoluti fanno impressione se è vero che si è passati da 335.300 copie a 275.800. Ma la ferita grave è dovuta anche a un calo consistente degli abbonamenti, tradizionalmente punto di grande forza del quotidiano confindustriale, e a un crollo della pubblicità. Il calo complessivo delle entrate non è addebitabile a Riotta ma in Confindustria dicono che il nuovo direttore dovrà essere in grado di dare un segnale di svolta se vorrà rimanere al suo posto.
Meno grave la crisi del quotidiano la Repubblica: siamo sempre in zona negativa con una percentuale di perdita del 3,6% pari 19.000 copie ma in redazione tirano un sospiro di sollievo. E’ vero che si è passati da 520.700 copie a 501.700 ma poteva andare peggio se il presidente del consiglio non avesse sparato cannonate sul quotidiano di Ezio Mauro. Gli attacchi forsennati di Silvio Berlusconi hanno provocato una inversione di tendenza piuttosto netta. Cifre negative anche per la Stampa e il Messaggero che hanno registrato rispettivamente perdite del 2,5% e dell’1,8%.
In questo panorama desolante c’è anche chi guadagna grazie all’aumento delle copie. E’ il caso del Giornale che registra un primato positivo: nel periodo considerato mette a segno una crescita del 15,1% con un aumento di 27.700 copie. Il quotidiano della famiglia Berlusconi è passato da 183.200 copie a 210.900, dicono gli analisti, grazie anche alla cura adrenalinica di Vittorio Feltri, che con le sue incursioni spettacolari e assai spericolate è riuscito persino a mettere in ombra il suo amato Libero che registra un calo del 5,3%. Un altro caso felice si registra sul fronte opposto: l’Unità di Concita De Gregori mette a segno una crescita del 9,9% con un aumento di 5000 copie, passando da 50.700 a 55.700.