Alla fine dal summit di Copenaghen è uscito un accordo minimale per il clima: il riassunto dell’accordo di Repubblica
Nessun trattato, da Copenaghen può uscire solo un Accordo. È sparita anche la definizione di “accordo politicamente vincolante”.
L’idea era di far seguire all’Accordo, entro il 2010, la stesura di trattati legalmente vincolanti, come quello di Kyoto, con meccanismi di verifica e sanzioni, come quello correntemente in atto. Solo una delle bozze cita ancora il 2010 come scadenza finale per arrivare alla stesura di testi legali veri e propri. Si tratterebbe, comunque, di due trattati. Uno che prolunga Kyoto, per i Paesi industrializzati che, allora, lo firmarono. Un altro per gli Usa (che non firmarono quel trattato) e i Paesi in via di sviluppo (come Cina, India e Brasile) che, nel testo di Kyoto, non avevano alcun impegno.
L’obiettivo di mantenere entro 2 gradi l’aumento della temperatura nei prossimi decenni, nel testo c’è. Gli scienziati ritengono che un aumento di oltre 2 gradi comporterebbe conseguenze (siccità, inondazioni, innalzamento dei mari) al di fuori di ogni possibile controllo e difesa.Il testo prevede, per il 2016, un nuovo incontro per stabilire se frenare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi, invece di 2. La richiesta di fissare l’obiettivo più in basso dei 2 gradi è venuta soprattutto dai Paesi africani (dove la media mondiale di 2 gradi significa, in realtà, almeno 3,5 gradi) e dalle piccole isole che temono di essere sommerse dall’innalzamento degli oceani.
Per arrivare all’obiettivo dei 2 gradi, le emissioni di CO2 dovrebbero diminuire del 50 per cento entro il 2050. Per arrivarci, i Paesi industrializzati taglierebbero le emissioni dell’80 per cento. Ma non basta: anche i Paesi emergenti dovrebbero tagliare le loro e non solo rallentarle. Per questo Cina e Brasile non vogliono un impegno globale del 50 per cento, che vincolandoli, sia pure a lunga scadenza, a ridurre le emissioni, può compromettere la loro crescita economica. Per accettare il 50 per cento, i Paesi emergenti vogliono che i Paesi ricchi fissino un obiettivo di riduzione ambizioso già per il 2020. Ma questo obiettivo ancora non c’è.
Perché l’obiettivo al 2050 sia credibile, i Paesi industrializzati dovrebbero infatti tagliare già nel 2020 le loro emissioni, secondo gli scienziati, del 25-40 per cento. Gli impegni presi finora arrivano solo al 14-18 per cento: secondo un recente rapporto, trapelato dall’ambiente degli scienziati che lavorano con l’Onu, una riduzione così modesta spingerebbe le temperature ad un aumento di 3 gradi. La bozza si limita a registrare gli impegni presi finora dai vari Paesi (Ue 20 per cento sul 1990, Usa 17 e Giappone 25, ambedue sul 2005). Sulla percentuale totale di riduzione c’è una bella “x”, con la possibilità di calcolare il taglio, sia rispetto al 1990 (come la Ue) che rispetto al 2005 (come gli Usa).
Una richiesta soprattutto americana, indirizzata alla Cina perché gli impegni presi da Pechino sul rallentamento delle sue emissioni (solo i Paesi industrializzati operano effettivamente dei tagli) siano verificati a livello internazionale. Il testo della bozza parla solo di inventari biennali delle emissioni, da comunicare “secondo nuove linee guida che saranno approvate dalla Conferenza”.
Le foreste sono un grande polmone e la deforestazione un potente fattore di emissioni. La bozza annuncia incentivi (gli Usa hanno già stanziato 1 miliardo di dollari) per allargare le foreste e fermare i disboscamenti.
Ai Paesi più deboli viene promesso un aiuto di 10 miliardi di dollari l’anno, per il 2010, 2011, 2012, Si tratta di soldi, precisa la bozza, “nuovi e aggiuntivi”, non dunque il riciclo di vecchie promesse di donazioni. Nel caso di piccole isole e di Paesi particolarmente vulnerabili, i soldi saranno impiegati, più che per ridurre le emissioni, soprattutto per difendersi dall’impatto dell’effetto serra. Dopo il 2013, entrerà in funzione un Fondo di Copenhagen per il clima, con finanziamenti che dovrebbero arrivare a 100 miliardi di dollari l’anno, entro il 2020.