E’ uscito il libro di Gennaro Carotenuto dal titolo Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo di Internet. Per acquistarlo online
Dall’introduzione del testo
Tema di questo saggio è la crisi che da trent’anni colpisce il giornalismo in parallelo con lo sviluppo dei “media personali di comunicazione di massa” quali Internet o il telefono cellulare. Questi nuovi media stanno segnando un vero punto di svolta nella storia dell’informazione, nella misura in cui permettono a un numero di persone ampio come non mai di comunicare verso molti interlocutori, mettendo in dubbio la centralità stessa del mainstream.
Internet, l’Internet dell’informazione, la Rete come mezzo di comunicazione di massa, è mutevole e in continua trasformazione, cangiante fino a mostrarsi iridescente a seconda di dove e da dove la si guardi, ma resta fedele ad alcune linee di fondo della cultura digitale tratteggiata fin dagli anni ’80. Studiandone la storia, emerge la precisa peculiarità del mezzo: lo sviluppo di una comunicazione fondata sull’orizzontalità rispetto alla verticalità della diffusione tradizionale. Per sua natura tale comunicazione orizzontale è in grado di confrontarsi, a volte scontrarsi, ma più spesso lavorare in sinergia con i mass media tradizionali.
In Rete la comunicazione avviene da molti a molti. Anche chi è esclusivamente recettore di informazione può scegliere tra un numero di alternative la cui ampiezza non conosce precedenti nella storia, instaurando confronti tra i vari media, valicando i confini, superando la temporalità e creandosi una propria agenda informativa ad assetto variabile. Inoltre, l’utente attivo della Rete ha mille modi per interagire, commentare, partecipare. Negli ultimi 15 anni il modello broadcast che vedeva i pochi deputati a comunicare ai molti, incarnato dai media tradizionali, ha potuto fare ben poco per scalfire l’orizzontalità di un medium rivelatosi pressoché impermeabile alla concentrazione editoriale. Anzi, le moltitudini che comunicano in orizzontale – la cosiddetta “coda della cometa” o “coda lunga” teorizzata da Chris Anderson, direttore della rivista Wired, il mensile simbolo dell’era digitale – sembrano avere la capacità di controbilanciare il persistente peso del nucleo rappresentato dai pochi che comunicano a molti.
Con “coda della cometa” in questo contesto si intende lo sciame di agenti informativi, di medie, piccole o piccolissime dimensioni, in genere nati con la Rete, la forma più conosciuta dei quali (ma non l’unica) è quella dei blog. La multinazionale Google, con il motore di ricerca omonimo, ha avuto un ruolo fondamentale nel valorizzarli, innanzitutto indicizzandoli e poi attribuendo loro un valore economico grazie alla sua pubblicità contestuale. Si è formato così un ambiente tecnologico ma anche economico nel quale, con i “mass media” propriamente detti, convivono milioni di “media personali di comunicazione di massa”. Vengono così abbattuti gli steccati tra le diverse forme di comunicazione in una convergenza che non è solo quella immaginata dalle grandi imprese del settore (ad esempio, il triple play tra TV, Internet e telefonia); allo stesso modo, cadono anche le barriere tra produttori e consumatori di informazione. Le implicazioni di tutto questo per il mondo dei media e non solo per quella fetta di popolazione che già si informa soprattutto con la Rete sono di vasta portata. L’elezione di Barack Obama, gli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004 e la loro influenza sul voto avvenuto tre giorni più tardi, l’industria discografica, il modello di Wikipedia sono solo alcuni esempi che aiutano a comprendere meglio le caratteristiche antimonopolistiche della Rete.
All’edicola dietro l’angolo troviamo da sempre le stesse 15 o 20 testate nazionali e locali. Queste, pur non agendo in regime di monopolio, non temono in alcun modo la concorrenza dell’Asahi Shinbun di Tokio, come questo, in Giappone, non si fa influenzare da Il Resto del Carlino. Sul telecomando della TV via etere, nonostante il digitale terrestre, le cose sono lente a cambiare e ai primi posti si assestano stabilmente le stesse reti, in particolare in Italia i tre canali RAI e i tre Mediaset, Orazi e Curiazi oramai pienamente pacificati e omologati sia sul piano del modello comunicativo che degli interessi politici ed economici rappresentati. Nonostante le modalità di fruizione della televisione, soprattutto da parte dei giovani, negli ultimi anni abbiano subito profondi cambiamenti, occorre andare sul satellite per trovare alternative alla concentrazione monopolistica del messaggio.
Anche in Italia molti grandi media hanno puntato in maniera convinta sul formato online, a partire da La Repubblica che dichiara circa 1,2 milioni di lettori unici al giorno. Lo hanno fatto tuttavia senza sciogliere due nodi fondamentali: innanzitutto, l’informazione prodotta per Internet dal mainstream è peggiore, più sciatta, più corriva di quella destinata alle testate tradizionali. È un’informazione a basso costo, in cui la precarietà dei rapporti di produzione è centrale e va a totale detrimento dell’indipendenza dei giornalisti. Il secondo nodo è rappresentato dal fatto che il modello di business della stampa digitale rafforza il rapporto perverso con la pubblicità senza cercare il consenso dei lettori rappresentato dal pagamento dei contenuti.
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