E l´adorata figlia, per ultima, nel 2004. Ha avuto la forza di non chiudersi in se stessa, simbolo e bandiera di una lotta per la giustizia che è diventata collettiva e dura da più di venticinque anni. Domani mattina sarà a Torino, in prima fila alla udienza di apertura del processo per la strage dell´Eternit. Romana, ce l´avete fatta? «Lo spero davvero, spero che questo processo riesca a partire senza intralci e ad approdare a una giusta conclusione, per noi e per chi nel resto del mondo ha avuto tragedie come le nostre oppure è ancora costretto a lavorare a contatto con l´amianto, in molti paesi rimasto legale. Essere arrivati in tribunale è un grande traguardo, un passo importantissimo. Siamo stati amaramente in gamba, e i primi in Europa, a raggiungere questo risultato. Mi auguro che nessuno ci metta i bastoni tra le ruote con la faccenda del processo breve o altri ostacoli. Io non mollerò mai, comunque vada».
Quando è cominciata, per lei? «Nel 1982 mio marito Mario, ex operaio della Eternit, ha iniziato a non stare bene. Mi ricordo che era febbraio, la neve sulle strade, gli alberi spogli: l´ho accompagnato all´ospedale Borsalino di Alessandria, il pneumologico, prima tappa della via crucis. Il professore ci ha detto che aveva un tumore. Io gli ho risposto: “Faremo le cure”. Lui con la testa ha fatto segno di no, come a spiegare che non c´era alcun rimedio. Che fosse mesotelioma, una forma sconosciuta anche al medico di famiglia, allora non lo sapevo ancora. Mio marito non mi aveva detto che in fabbrica già se ne parlava con preoccupazione e che altri avevano lo stesso male. Voleva lasciarmi tranquilla. Dopo, quando lui è morto, ho capito che dovevo saperne di più e che dovevo fare qualcosa. Sono andata alla Camera del lavoro di Casale, ho cominciato a lavorare assieme ai sindacalisti. Poi è nata la associazione che presiedo ancora. Ho pianto tutte lacrime. Quando è toccata anche a mia figlia, non ne avevo più da versare».I morti si sono contati a centinaia, ogni anno ci sono 40-50 nuovi casi di mesotelioma. Non finirà mai? «Pochi giorni fa se ne sono andati un ex operaio, Piero Ferraris, e una impiegata di 50 anni che alla Eternit non aveva mai messo piede: Patrizia Saviotti. Il picco di decessi, purtroppo, deve ancora arrivare. La malattia ha una latenza di decenni. Per questo ci battiamo per altre due cose, oltre che per avere giustizia: bonifica e ricerca. Ma alle case farmaceutiche investire su questo fronte non conviene, perché per loro i malati sono relativamente pochi per pensare di recuperare i costi di studi seri. Non ci vedono il guadagno». Che cosa altro insegna la tragedia di Casale, la vostra esperienza? «Che i cittadini devono essere sempre più preparati e coraggiosi». I giovani stanno raccogliendo il vostro esempio? All´ultima fiaccolata erano in molti… «Sì, un ottimo segno. Ogni famiglia ha perso qualcuno e per questo è coinvolta. E poi hanno fatto un buon lavoro le scuole, gli insegnanti, gli adulti. I ragazzi sono la nostra grande speranza».