A spasso per il Piemonte ci sono 381 consulenti che hanno ricevuto un incarico, lautamente remunerato da un ente pubblico, violando la legge. A sostenerlo è la sezione regionale di controllo della Corte dei conti del Piemonte che, in una certosina e puntigliosa indagine, ha analizzato gli incarichi esterni affidati da Regione, Province, Comuni, Asl e ospedali di tutto il 2008. Una torta che vale, da sola, 50 milioni di euro. In teoria dovevano essere molti meno. Una serie di provvedimenti governativi imponevano un taglio drastico delle consulenze. Ma gli enti pubblici si sono lasciati prendere la mano e, nel giro di un anno, dal 2007 sono aumentate del 60 per cento.
La fantasia con la quale le pubbliche amministrazioni hanno violato le norme sulle consulenze è fervida. Il Comune di Torino, per esempio, ha previsto per regolamento che le consulenze sotto i 20 mila euro dovessero essere affidate senza una gara pubblica. Regolamento ovviamente contestato dalla Corte dei conti. C’è poi chi non guarda nemmeno se al suo interno ci sono le professionalità a cui potrebbero essere affidati gli incarichi dati all’esterno, cosa che gioverebbe non poco alle casse pubbliche. Alcune consulenze sono state affidate in modo reiterato alle stesse persone, anche per anni. In alcuni casi non è stato nemmeno previsto un termine di scadenza. In altri le persone scelte non avevano le competenze per ricoprire quegli incarichi (mancava loro la laurea prevista obbligatoriamente) e in altri ancora gli incarichi erano talmente generici da non permettere neppure di capire se fossero assolutamente necessari oppure no.
Alla categoria dei dipendenti pubblici bisognerà d’ora in poi aggiungere un sottogruppo: gli abbonati alla consulenza. Questa ristretta cerchia di professionisti, anno dopo anno, riceve dagli enti pubblici consulenze che ben poco hanno a che vedere con l’urgenza e l’indifferibilità che dovrebbe caratterizzare i loro incarichi. Qualcuno, contratto dopo contratto, è ormai a libro paga da sette anni. Ovvero è sopravvissuto persino alla maggioranza politica che lo aveva nominato la prima volta. Il che fa sorgere qualche domanda: non hanno le competenze per svolgere l’incarico nel tempo previsto? L’ente ciurla nel manico e invece di assumerli continua a reiterare i loro incarichi? Oppure quel lavoro è assolutamente indifferente all’ente, conta di più a «chi» deve andare la consulenza?Gli habitué della consulenza non sono pochi. Al fondo della loro relazione, i giudici contabili hanno riportato i casi più eclatanti in cui sono incappati. Qualche esempio: Lorenzo Muller, superconsulente della presidente Mercedes Bresso, ha ricevuto la sua prima consulenza nel 2005 per l’attuazione delle politiche internazionali, il coordinamento delle attività con le istituzioni nazionali e comunitarie e i rapporti istituzionali Stato-Regioni. L’incarico doveva durare un anno, rinnovabile. E infatti così è stato, fino a oggi, per una spesa di 409.500 euro. Scrivono i giudici contabili: «Alla data odierna non si ha contezza dei risultati e dei benefici effettivi raggiunti in termini di utilità per l’ente, trattandosi sostanzialmente di un supporto esterno al responsabile della direzione».
Spesa complessiva 409.500 euro e violazione del principio di eccezionalità e durata temporanea dell’incarico. Stessa cosa dicasi per Renato Balma, consulente nominato nel 2005 per supportare il piano di rientro dal disavanzo della sanità regionale. Il suo incarico doveva durare 17 mesi. Rimarrà lì fino al 2010. Spesa 363.000 euro e il sospetto che il suo ruolo somigli troppo all’incarico direzione risorse umane. Il Comune di Torino affida invece a una società la valutazione di immobili da vendere reiteratamente dal 2002 al 2007. Risultato? Per la Corte dei conti: «Disutilità della spesa sostenuta per l’assolvimento di compiti istituzionali di competenza ordinaria della direzione».
11 commenti su “Il vizietto della consulenza pubblica facile”
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parole…facili per impressionare. Conoscere è davvero un mestiere difficile, bisogna scender nei particolari, sporcarsi e quindi si perde quell’effetto che scatena l’emozione di cui si nutre quest’autore.
I dati sono probabilmente veri, ma la verità finisce qui. La situazione della Pubblica Amministrazioe italiana è grave, in quanto per anni è stata usata come ammortizzatore sociale. Non ci sono professionalità e sopratutto manca il management in ogni suo aspetto. I consulenti esterni spesso forniscono un in tangibile valore alle Amministrazioni. Certamente a queste consulenze si può spesso imputare di non esser correttamente assegnate e monitorate, ma è un gatto che si morde la coda. Manca la visione e la competenze del “risultato” nella PA italiana, e non può certo nascere nel momento in cui si deve valutare un intangibile.
E’ necessario poi evidenziare che l’asssegnazione diretta, se da un lato suscita polemiche dall’altro è una fonte di libertà dalla schiavitù del bando. Semplificando. Se mi fido di una persona o società, nella PA non si può assegnare a questa un lavoro. Il bando è un rischio in quanto si rischia di assegnare sulla carta un lavoro a chi scrive e si vende meglio. Nessun imprenditore accetterebbe mai questo. Se quindi la consulenza suscita fastidio e solo perchè non si consoce e non si vuol far conoscere davvero gli sprechi derivanti dall’Organizzazione (e non dalle persone, i cui atteggiamenti sono il frutto del modello organizzativo) della PA. Il vero fastidio è li.
Dove è il mio commento?
Lei è superficiale e disonesto intellettualmente sia nel "pezzo" che ha scritto sia nella gestione di questa "comunicazione", in cui le mie parole per nulla irrispettose sono state cancellate.
Ribadisco che questo articolo è fazioso e superficiale. Il problema degli Enti pubblici non è di certo nelle consulenze più o meno care e utili, ma nell'incapacità di funzionari e dirigenti, cresciuti in un modello organizzativo antico, fodiano, assolutamente fuori luogo rispetto al concetto di "servizio".
Incapacità motle volte incolpevole, in quanto il sistema stesso non richiede capacità.
Il non lavoro non è neppure il problema maggiore, bensì il lavoro mal fatto di ogni singola componente dell'organizzazione pubblica, fnzionario dirigente direttore dicente preside o presidente. Un lavoro fatto male moto spesso in buona fede. C'è una cultura organizzativa e del lavoro antica, basata sulla paura di dimostrare di aver fatto e non sul fare per il "cliente". I consulenti non sono certo il male di questo sistema, in quanto sono una via di contagio verso altri modelli organizzativi. Sono certo a volte mezzi per dare i soldi, ma se si voleva fare una sincera critica verso lo sperpero questo pezzo è quanto più di sviante conosca, persino più del Brunetta pensiero che addossa colpe alle azioni dei singoli e non mette mano all'organizzazione, il vero problema degli enti pubblici.
Peccato che piuttosto di unconfronto per capire lei abbia scelto la rimozione del pensiero altrui
Ma questo in fondo è solo lo specchio dei sui valori, niente di cui stupirsi, ingenuo io.
Che l'onestà che chiede fuori si faccia avanti prima in lei.
Perchè non parliamo dello stipendio dei privilegi della casta dei docenti?
Ma si rende conto che se non esistessero i consulenti, anche quelli malvagi, il sistema PA sarebbe un sistema chiuso??
Ma con che dati e intenzioni pubblica certi articoli?
Anzitutto l'articolo è stato pubblicato da un noto giornale torinese. Poi che intende per "sistema chiuso" ?
Parte1) Un sistema chiuso è un sistema che non scambia con l'esterno "materia", quindi informazioni conoscenza e che diventa per sua natura, autoreferenziato, e che, sempre per sua natura invecchia precocemente. La PA, usata come ammortizzatore sociale, è un sistema chiuso. Il suo modello organizzativo vecchio e non adatto all'erogazione di servizi, ha creato la figura dello "statale" .
Parte 2) Il modello è gerarchico funzionale, non orientato all'erogazione di un servizio, ne al raggiungimento di un obiettivo. Essendo un sistema chiuso, non si è evoluto, non ha subito la contaminazione. Sorte simile è toccata a molte PMI il cui esser sistema chiuso è evidente nella "famiglia". Altre PMI, uscite da questo stato hanno rivisto organizzazione cultura e modalità di gestione.
Parte 3) L'organizzazione "crea" i suoi dipendenti e quindi la cultura. Poi la cultura di questi alimenta l'organizzazione. Nessuno è misurato, ne valutato dunque non è possibilie un miglioramento.
I consulenti possono portare tantissimo. Eppure anche questi si sono più adeguati al sistema che altro (sia a causa delle "masse" in gioco sia a causa di inerzia "umana"). Condivido che le consulenze sono state un sistema "mafioso" per erogare soldi dunque favori dunque voti, ma è anche vero che un Ente pubblico non è in grado di scegliersi e tenersi le risorse umane qualificate e motivate, ma al contrario è costretto a tenersi quelle meno adatte (giusto se si vuole, essendo la conseguenza dell'uso come amortizzatore sociale).
Parte 4) Oggi la PA ha le mani legate, ha un motore vecchio che non va avanti e consuma tantissimo, e i nostri governanti, come nelle peggiori strisce di sturmtruppem, han deciso di togliere benzina, SENZA, riparare il motore.
Ora, sono pienamente convinto degli sprechi, ma sottolineare l'abuso della consulenza in questa situazione pare davvero in grado di sviare l'attenzione dal problema.
E trovo questo molto molto pericoloso. Non facciamo ne aiutiamo la caccia alle streghe, andiamo al problema.
Grazie per lo spazio e se son stato troppo aggressivo chiedo scusa.
grazie per la lezione di organizzazione aziendale: ma questo che c'entra con il fatto che le consulenze siano spesso distribuite secondo criteri diciamo per lo meno incomprensibili ?
non era una lezione ma una osservazione
il nesso non era evidentemente fra organizzazione e consulenza
il nesso è relativo alla natura dello scopo e conseguenze della comunicazione
indicare una piccola ferita svia dal curare l'emorragia.
e mi pare anche pericolosa la riduzione dell'attività di consulenza, proprio per quanto sopradetto: il sistema diveneterebbe ancor più chiuso ed autoreferenziato.
Non è nella consulenza esterna il danno, ma nella gestione utilizzo e monitoraggio di questa. Ridurla vuol dire ridurre una risorsa e chiudere una via di evoluzione. L'articolo non identifica il vero problema e quindi suggerisce una soluzione errata.