Le Camere non hanno mai brillato per iperattivismo, d’accordo. Ma negli ultimi sei mesi – complice il progressivo affievolimento dell’iniziativa del governo, ormai unico dominus dell’attività legislativa – hanno rallentato e infine esaurito la loro corsa. Non è solo un problema di quantità, di ore lavorate, come se deputati e senatori fossero operai a cottimo. Il fatto è che le 8,6 ore di seduta a settimana (dal martedì al giovedì pomeriggio) alle quali si sono limitati i senatori dal 1 maggio al 31 ottobre e le 18 dei deputati (dal lunedì al giovedì pomeriggio) nello stesso periodo, raccontano di un arrancare senza precedenti. Denunciato in fondo, con tutta la diplomazia del caso, dalla clamorosa iniziativa del presidente Fini nel momento in cui ha chiuso per mancanza di leggi e di copertura per finanziarle. Messaggio al governo, preceduto da due (inutili) riunioni di richiamo all’ordine coi presidenti di commissione. Al Senato invece si va avanti senza scosse, sebbene proprio lì i numeri parlino di un calo ancora più marcato: dalle 17,7 sedute al mese del primo anno di legislatura si è passati alle 14 degli ultimi 180 giorni, le ore di aula da 11 a 8,6 a settimana.