Solite bufere sul CSI Piemonte

Prima Beppe Minello su Lastampa

Chi, per i motivi più diversi, confida nel fatto che al Csi l’era-Rovaris stia volgendo al termine è meglio che rifaccia i suoi conti. Tra i 570 aspiranti all’incarico di direttore generale c’è anche Rovaris che su quella poltrona siede ininterrottamente da oltre 30 anni, da quando il Consorzio informatico lanciava i primi vagiti. «Invece di fare una selezione ad evidenza pubblica come ha deciso il cda forse sarebbe stato sufficiente ipotizzare un paio d’anni durante i quali affiancare ed accompagnare il successore…» ha commentato Rovaris a margine di una conferenza stampa durante la quale lui e il presidente Francesco Brizio hanno ribattuto punto su punto a tutte le accuse piovute addosso al Csi in questi mesi, in particolare dal vicepresidente della Sala Rossa, Michele Coppola (Fi-Pdl) e dal capogruppo in Regione dello stesso partito, Burzi.

Poi Rapahel Zanotti sempre su La Stampa

Ci sono tre motivi per cui il Csi Piemonte è diventato, negli ultimi tempi, zona di guerra. Uno: siamo a fine legislatura e il consorzio regionale, che offre sistemi informatici e servizi alle amministrazioni pubbliche, è un ottimo bacino di voti visti i suoi 1200 addetti. Due: Renzo Rovaris, il direttore generale che guida il consorzio dalla sua nascita, oltre trent’anni, è in parabola discendente. L’assessore regionale all’Innovazione Andrea Bairati ha deciso che era ora di cambiare. Tre: è in scadenza la convenzione con la Regione. Questo significa nuovi equilibri del consorzio con il suo maggior cliente che rappresenta, da solo, il 65% dei ricavi.
Non stupisce, dunque, che attorno a questo centro di potere si muovano gli appetiti di molti. C’è però un dato incontrovertibile che fa da sfondo e su cui tutti, indistintamente, dovranno fare i conti: il Csi Piemonte è diventato un pachiderma che fagocita milioni di euro, nonostante il suo bilancio risulti comunque in attivo.


A dirlo è Booz&Company, una delle prime società di consulenza strategica e direzionale al mondo che ha effettuato un’analisi organizzativa dell’intera struttura su mandato dello stesso Csi. Il risultato è che, a seconda della metodologia di analisi adottata (bottom-up, ovvero dalle singole persone e uffici risalendo alle funzioni di vertice, o top-down, ovvero dal vertice alle unità più dettagliate) il Csi ha sprechi che vanno dal 16% al 22%. In parole povere il Csi Piemonte, per essere concorrenziale, dovrà in futuro ridurre i propri costi di una somma compresa tra i 25,2 e i 34,9 milioni altrimenti il mercato, in breve tempo, avrà ragione di lui.

Booz&Co indica quali sono, secondo le sue stime, i costi che vanno tagliati. Il Csi ha tariffe troppo alte e poco concorrenziali, non usa abbastanza le proprie risorse interne, ci sono troppi ritardi nella consegna e si richiedono troppe modifiche sui progetti. Non solo. L’acquisto di beni e servizi dai fornitori esterni va reso più efficiente, le consulenze esterne sono troppe o troppo esose (oltre quattro milioni di euro lordi nel 2008, con tre sui 100.000 euro) ed esistono doppioni nello staff che vanno eliminati.

Agendo su questi costi si otterrà, secondo la società di consulenza, una riduzione dei costi generali prevista tra il 9 e il 16%. Una cura dimagrante necessaria per evitare che , a breve, le amministrazioni pubbliche si trovino a un bivio: trovare sul mercato soluzioni a prezzi migliori rispetto a quelli che fa loro il consorzio. Sarebbe un dramma, per il Csi, che è una delle realtà in-house più grandi del Paese e che vive grazie alle commesse pubbliche.
Grazie al Csi il Piemonte è una regione pilota per quel che riguarda l’informatizzazione della pubblica amministrazione. Pare che anche il ministro per l’Innovazione nella Pa, Renato Brunetta, abbia messo gli occhi sul consorzio. Il Csi Piemonte è una realtà da 180 milioni di ricavi l’anno ma rappresenta anche una struttura che soffre di una serie di difetti individuati come peculiari dal ministro: burocratizzazione, monopolio, ipertrofismo del personale e scarsa efficienza nel recuperare crediti (dagli enti locali il consorzio avanza ancora 115,4 milioni di euro). Per questo potrebbe essere un ottimo soggetto su cui sperimentare il piano “e-2012”. Insomma, non solo la politica locale guarda al futuro del Csi. E intanto la battaglia sulla direzione generale continua: ci sono 570 candidati per quella poltrona, compreso l’immarcescibile Rovaris.

Poi anche il capogruppo PdL in Regione

Il capogruppo di Forza Italia-Pdl in Regione, Angelo Burzi, è stato negli anni uno degli oppositori del direttore generale del Csi Renzo Rovaris, ma oggi lo difende. Perché capogruppo?
«Rovaris ha commesso i suoi errori, ma oggi non è il tema principale. Se il Csi Piemonte si trova indietro di dieci anni non è colpa sua bensì di quei consorziati che hanno abdicato al loro compito di indirizzo delle politiche sull’informatica».
Qual è l’errore fatto?
«Di fronte alla crisi dell’Ict italiano, la politica ha messo in atto una strategia difensiva sviluppando enti strumentali e agenzie che assorbissero le persone che il mercato non era in grado di trattenere, tarando la domanda degli enti pubblici sulle caratteristiche e la natura dell’offerta».
E invece?
«E invece oggi il mondo è cambiato. Il fenomeno del “cloud computing”, ovvero l’utilizzo di server e software allocati sulla rete, e l’off-shoring, lo spostamento della produzione in zone del mondo a basso costo del lavoro, fa sì che una struttura fissa gigantesca come il Csi Piemonte sia ormai obsoleta».
Da cosa si deduce?
«Ci sono dati che lo dimostrano. Un confronto tra Csi e aziende del contesto omogeneo mostra un minor valore aggiunto del dipendente (68.000 euro a testa rispetto a una media di 74.000), un maggior costo medio del personale (51.000 euro contro una media nazionale di 45.000) e un minor ricorso al mercato (30% contro una media nazionale di circa 44%)».
Qual è la vostra proposta?
«Il consorzio andrebbe ridimensionato in 5 anni: dagli attuali 1200 addetti a 200, altamente qualificati e i 180 milioni di ricavi ai futuri 30 milioni ottenendo un’efficienza oggi non presente».
Ma il livello occupazionale?
«Non si perderebbe. Il consorzio andrebbe spacchettato producendo società spin off che assorbano il personale che dovrà uscire».

4 commenti su “Solite bufere sul CSI Piemonte”

  1. Purtroppo si citano sempre i 1200 dipendenti..
    ..e gli interinali e co.co.co.?
    ..e i 400 consulenti?
    .e le aziendine interne di servizio..? (pulizie, guardiola..)

    Il CSI potrebbe anche crescere a 1400 dipendenti!
    Si! Crescere!

    Come?
    Ad esempio si assumono tutte quelle figure che fanno arricchire le aziende in sub-appalto di servizi e si assumono quei consulenti veramente efficienti e indispensabili che alla fine costerebbero molto meno al consorzio.

    Disfare il CSI è un'idea distruttiva!.. significa perdere centinaia di posti di lavoro all'insegna di chi..? del Burzi di turno.. di Coppola.. di Pinco Pallo rivoluzionario?.. E' semplicemente assurdo!
    E se veramente c'è un esubero (che dai più autorevoli stimato del 10/20%) è possibile benissimo risolverlo con ammortizzatori sociali che nell'arco di pochi anni (senza lasciare una sola persona a casa) potrebbero accompagnare anche col prepensionamento le persone.

    Ma nel consorzio ci sono tante attività, tante realtà, che lavorano, ed esprimono una qualità che è la base di tutti quei premi che ci riconoscono come il miglior ente di informatizzazione della pubblica amministrazione.

  2. Il CSI Piemonte è un vero mostro che va se non smantellato per lo meno disattivato e sezionato. Ha ucciso qualsiasi informatica locale prima dell'arrivo di internet diffusa. Il CSI aveva tutti i lavori pubblici e poi li ripartiva secondo principi clientelari e poco trasparenti ad aziende in subappalto.. Eì risaputo da quasi tutti che molto in CSI non fanno quasi nulla. Sono protetti dai politici e perseverano in questo stato. Anche molti dirigenti. Poi indubbiamente ci sono seri professionisti spesso sottovalutati che pero tengono su la baracca. Poi e' vero che il CSI ha vinto premi … ma non vuol dire nulla. I premi li vincono un po' tutti. Poi e' logico che qualcosa di buono ne venga fuori insuflando nel sistema milioni di euro come noccioline
    Capisco che i dipendentio cerchino di salvare il posto. Ma stiano tranquilli non verranno licenziati (come molti meriterebbero) verrano scorporati in aziende pubbliche più piccole. E finirà questa brutta storia.

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