Quello che lo scatolone se l’è portato dietro fino in Vietnam. Quello che adesso scrive romanzi di fantascienza. Quello che fa le riparazioni domestiche. Quello che continua a fare il banchiere e ogni giorno si presenta al 745 sulla Settima Avenue: è cambiata solo l’insegna della ditta. Quello che adesso ripulisce titoli tossici. Quella che di tossico non vuole sentire neppure parlare ora che si occupa di cucina. Quello che tutta la verità l’ha raccontata in un libro-shock.
E quello che i 25mila dipendenti buttati sulla strada vorrebbero veder penzolare dal 31esimo piano del grattacielo che fu dell’azienda, laggiù a Manhattan, e invece, pensa te, in attesa che il giudice si pronunci trova il modo di vendere la sua villa da 13 milioni di dollari alla moglie, e per la vergogna di cento dollari: perché a Wall Street un anno dopo niente sarà pure più come prima ma se sei l’ex capo di Lehman Brothers resti “un po’ più uguale” degli altri.
C’è una vita dopo Lehman? Il 15 settembre che ha cambiato la storia della finanza resta scolpito nella memoria della città e di questa nazione fondata sul popolo e sui bigliettoni. Le immagini choc degli impiegati costretti a lasciare l’ufficio tirandosi dietro gli scatoloni hanno fatto il giro del mondo. Ma nessuno, un anno dopo, è pronto a giurare che non potrebbe succedere ancora. E in questo caso non c’è neppure la scusa del terrore, come nel crollo di tutti i crolli, nella tragedia immane delle Due Torri.