Via Repubblica.it
Durante le giornate calde delle scorse elezioni iraniane era stata l’unica voce capace di oltrepassare le barriere della censura e arrivare, proprio come il cinguettio di un uccellino, fino alle orecchie dei media occidentali. Così Twitter, dopo essersi lentamente accaparrato l’interesse degli utenti nonostante lo strapotere del fratellone Facebook, era diventato anche il mezzo ideale per una nuova forma di giornalismo partecipativo. Ora però a sminuire il potere del microblogging, una finestrella vuota da riempire con centoquaranta caratteri di testo per raccontare in presa diretta quello che succede nelle vite degli utenti, arriva uno studio americano condotto dalla società di ricerche Pear Analytics.
Solo chiacchiere inutili. Nel 40% dei casi il contenuto dei “tweet”, questo il termine utilizzato per definire le brevi frasi postate on line, sarebbe proprio questo. Frasi del tipo “sto mangiando un panino” sarebbero quelle preferite dagli iscritti. Per arrivare alla conclusione che nella maggior parte dei casi i contenuti di Twitter non sono così nobili e interessanti come sembrerebbe, lo studio ha monitorato per dieci giorni, dal lunedì al venerdì e dalle dieci alle cinque del pomeriggio, il flusso dei messaggi pubblici che appaiono nella homepage del sito americano. Esclusivamente in inglese, duecento tweet al giorno sono stati presi come campione e, moltiplicati per i dieci giorni dello studio, hanno costituto la base per una catalogazione dei contenuti. Notizie, spam, autopromozione, chiacchiere inutili, conversazioni e messaggi importanti.Con lo scopo di verificare a cosa serva realmente il social network, la Pear ha concluso che nel 40,55% dei casi il sito viene utilizzato per trasmettere informazioni di poco conto. “Pointless babble” appunto, come vengono definite in inglese. Seguono le conversazioni, nel 37,55%, ovvero una sorta di instant messaging lanciato come botta e risposta dagli account; gli argomenti di un certo rilievo contenutistico, nell’8,7% dei casi; l’autopromozione, 5,85%, ovvero il tentativo di vendita o pubblicizzazione di prodotti; lo spam, con una percentuale del 3,75% e infine, con solo 3,60% dei casi, l’informazione, ovvero lo scambio di notizie.