Anche qui ci sono i nastri bianchi e rossi, per delimitare le strutture pericolanti, i padiglioni più vecchi, ma anche le strutture più recenti. Pezzi di intonaco, piastrelle, rivestimenti in marmo: tutto in briciole. Il cimitero de L’Aquila ha accusato il colpo, come tutto nel capoluogo abruzzese. E tutto è rimasto come tre mesi fa: a terra ci sono i fiori, portati prima del 6 aprile, secchi e in decomposizione. I vasi invece sono stati riempiti di fiori freschi, dove ancora si può accedere, calpestando calcinacci e pezzi di muro.
Quello che colpisce di più sono le lapidi dei loculi, piombate a terra, nomi e date fatti a pezzi, i volti dei cari estinti che guardano il soffitto. Tantissime tombe mostrano ora il cemento con cui sono state sigillate, il nome graffito con una punta, scritto prima che fosse pronta la lastra di marmo. Anche la chiesa è pericolante, recintata con transenne metalliche. Tutt’attorno il silenzio irreale di un pomeriggio assolato d’estate