Ieri sono stato testimone a latere dell’assemblea sindacale di uno dei maggiori quotidiani italiani. Un incontro in cui si chiedeva di ratificare un piano di ristrutturazione finalizzato a ridurre di più di 130 in totale i lavoratori nell’arco di due anni. Un piano mai visto di tali dimensioni, dato che i passivi in passano erano risanati da un noto imprenditore italiano del settore delle automobili morto da tempo.
L’atmosfera era pesante, palpabile, triste oltre che preoccupata. Sembrava davvero la fine di un era, un momento di transizione importante. Numeri pesanti ed addii simbolici e concreti.
Sono oramai 15 anni che noi vecchi lupacchiotti della rete profetizziamo questa progressiva e inesorabile contrazione dei cosiddetti media tradizionali. Ma a vedere i fatti dal vivo ci si sente un po’ stringere il cuore umanamente. Nonostante nel passato e purtroppo nel futuro un certo sistema dei media tradizionali continui a cercare di vessare quelli che lottano per difendere i principi sani dell’informazione e coloro che cercano di rinnovare il sistema dell’informazione in Italia.
L’onda delle cose che cambiano è arrivata forte con la crisi economica accellerando i tempi di un sistema di lacci e lacciuoli che aveva tenuto lontano per anni la parola “grave crisi” dal mondo dell’editoria.
Solo un momento di riflessione e di pensiero per quelli come lo scrivente che non sono nativi digitali, ma che lo sono diventati da tempo immemore. Una stretta al cuore c’è stata a vedere le facce e sentire le voci delle persone. Molte di queste di grandi uomini e professionisti, altre di menti e cuori meno eccelsi. E’ stato un giorno strano. Poi passa, e si pensa al futuro.
Uan bella botta, ho diversi amici nel giornalismo e nell’editoria scartati, prepensionati o semplicemente licenziati. E che non percepivano lo stipendio da mesi e mesi.