Il maestro Vittorio (Zambardino) analizza lo stato dell’arte dell’editoria dopo la proposta di Murdoch di mettere i contenuti digitali a pagamento
Bisogna leggerlo dal fondo
La dura verità è che il senso del passaggio al regime “pay” non è commerciale. E’ culturale. I giornali usciranno dalla “conversazione”, e riducendo la rete a pura piattaforma distributiva, si isoleranno dalle persone che in rete si informano e vivono. Se si sceglie di essere quelli che si fanno pagare, si smette di essere soggetti attivi della rete e fonte accreditata delle sue notizie. Che poi è l’unica battaglia vinta dai giornali negli ultimi 20 anni, l’unico traguardo raggiunto con successo.
Poi ripartire con il resto
Sulla base di quindici anni di esperienza in questo settore, vorrei far riflettere che si tratta di una ipotesi suicida, sia nel primo (con qualche riserva sulal verifica delle scelte che si faranno) ma soprattuto nel secondo caso.
1) Pochi casi di successo
L’unica esperienza pregressa in questo campo appartiene allo spagnolo El Paìs: messo a pagamento con l’esclusione della homepage alla fine del 2002. L’effetto è stato che il giornale ha perso la leadership del mercato online in Spagna e ha dovuto, dopo qualche anno di esperienza, fare macchina-indietro verso un sito gratuito.La “lezione appresa” degli spagnoli è dura e semplice da capire: i giornali “generalisti” non possiedono un nucleo di informazione esclusiva tale da rappresentare per i lettori uno stimolo al pagamento.
Esistono peraltro gli esempi positivi del Wall Street Journal, di cui si è detto, e del South China Morning Post: giornale “generalista” e a pagamento. Ma forse si tratta di casi troppo specifici per diventare significativi.
2) La notizia sulla rete è commodity e il pubblico non guarda tanto alla qualità
Il pubblico, benché premi i brand storici dei giornali, usufruisce comunque di un abbondanza inedita di notizie, reperibili attraverso aggregatori e motori di ricerca, oltre che nei social network. Le possibili fonti sulla rete sono peraltro molteplici – anche se qui non si entra nel merito della qualità di quelle fonti.Peraltro veniamo da 15 anni di assuefazione all’accesso gratuito. Un tempo lungo, che ha creato una consuetudine. Su questa modalità di distribuzione della notizia si è creata anche una fonte di ricavo con la pubblicità nei formati “display” e “search”. Non bastano queste fonti a bilanciare i conti?
Bisogna vedere se i ricavi che possono essere prodotti dal passaggio a pagamento potranno compensare il minor valore che l’eliminazione del gratuito, anche solo parziale, farà pesare nel fatturato publicitario dei giornali on line. Non è proprio detto che il conto torni, dati i danni collaterali che potrebbero compromettere la validità dell’intero modello gratuito.
3) Danni collaterali e bestemmia “culturale”
C’è un aspetto che non credo sia stato preso in considerazione dai teorici della “offerta a pagamento”. Ammettiamo pure che questa sia solo una selezione, un bouquet o pacchetto. Comunque questa scelta comporterà minore presenza nei motori di ricerca, minore disseminazione nella rete dei contenuti dei giornali e in ultima analisi un calo di pagine e numero di utenti, perché sottrarrà contenuti alle pagine in libero accesso.Non solo: i giornali si renderanno invisi ai lettori giovani, che sono il loro avvenire, perché adotteranno una modalità distributiva che non incontra la sensibilità di questo pubblico ed è espressamente in contrasto con la cultura della rete.
malefico omonimo, non chiamarmi maestro. Come disse una volta il grandissimo Sandro Ciotti, e poco prima di lasciarci: “Piantala co’ sto maestro, se te chiamano maestro significa che devi mori'”
scusami omonimo maestro :-)
vedro di trovare altre forme espressive come maggico per esempio …