Il problema è serio. Facebook è una dittatura. Nessuno sa ufficialmente il perché le entità segrete che vivono quasi in clandestinità a Palo Alto, in California, eseguono gli ordini di un venticinquenne molto fortunato, e certamente molto intelligente, senza chiedersi il perché, senza fornire un perché, senza pubblicare, magari in italiano o in tutte le lingue del mondo, un codice di comportamento preciso ed esente da dubbi e contraddizioni.
È un problema serio. E non riguarda solo Facebook ma tante realtà del web, e forse non solo, nate dalla mente di questi, certamente geniali, babyboomers americani che un giorno inventano un servizio innovativo, raggiungono un successo assolutamente virtuale, non confortato da ricavi in soldi veri o da un business plan benché minimo che risponda a questa semplice domanda: come faccio a far quadrare i conti?
E poi, magari, vendono il giocattolo, ben impacchettato, al migliore offerente e si ritirano per sempre a vita privata. Non si preoccupano di regole, spesso neanche di etica, non si preoccupano del fatto che in tutto il mondo ci sono leggi che dovrebbero essere rispettate e, soprattutto, vivono una sorta di latitanza mediatica assolutamente inspiegabile.
Per un articolo ho cercato di contattare i fondatori di Twitter via mail, non ho mai ottenuto risposte. “Sarà perché sono l’ultimo dei giornalisti” ho pensato, ma mi sono ricreduto quando ho letto che neanche una collega del Wall Street Journal, che non è l’ultimo quotidiano del Mali, era mai riuscita a contattarli.