All’estero certi manager che hanno commesso errori gestionali gravi vengono messi alla gogna, qui prendono un bonus e si danno alle esternalizzazioni.
Lettera aperta dei dipendenti di Rete A
Siamo 29 lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato da Rete A – ALL MUSIC e prossimi al licenziamento che il Gruppo Editoriale L’Espresso ha annunciato con una procedura collettiva il 5 marzo scorso. Siamo 29 persone, ma siamo una televisione nazionale. All Music, infatti, fornisce programmi e servizi giornalistici a Rete A (titolare della concessione governativa) che la controlla al 100%.
La parola chiave di questa lettera è esternalizzazione. E’ quella che il Gruppo L’Espresso dell’ingegner Carlo De Benedetti schierato fin dalla prima ora e dalla prima tessera con il PD, usa più spesso per giustificare tagli di personale. Tutta colpa di un passivo di 3 milioni di euro, a carico di All Music, che impone un taglio dei costi.
Taglio che, secondo l’azienda, significa taglio di posti di lavoro. Esternalizzare significa che il nostro lavoro verrà svolto da società appunto esterne e da lavoratori precari, che si possano a loro volta scaricare come costi eccessivi quando ce ne sarà bisogno.
Scriviamo a lei perché riteniamo profondamente ingiusto pagare con il nostro posto di lavoro errori che non sono in alcun modo nostri. Il gruppo dell’ingegner Carlo De Benedetti, da quando ha acquistato Rete A e All Music, ha trasformato un’emittente piccola ma in utile in un carrozzone deficitario.
Manager incapaci di gestire un’azienda televisiva hanno sperperato appunto all’insegna dell’esternalizzazione, acquistando da società di gran nome, programmi scadenti e assolutamente non redditizi dal punto di vista pubblicitario.
E hanno penalizzato le professionalità interne preferendo collaboratori illustri (o presunti illustri ma comunque costosi) a seri professionisti che da tempo facevano con pieno merito il proprio dovere. Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Ma il gruppo dell’ingegner Carlo De Benedetti, sceglie ancora una volta di far pagare ai lavoratori, e non ai responsabili, i suoi errori. Certo l’ingegnere ammette che l’avventura televisiva non è stata fortunata, ma intanto I suoi uomini licenziano senza pietà.
Scriviamo a lei perché vogliamo denunciare un atteggiamento radicalmente contrario perfino al codice etico che il Gruppo L’Espresso si è dato e che indica in un corretto rapporto con le rappresentanze sindacali e con I lavoratori uno dei cardini del sistema. Ma quali buoni rapporti: 29 persone licenziate senza ammortizzatori sociali, senza mobilità, senza cassa integrazione in deroga, semplicemente incentivate a “togliersi dai piedi” presto e definitivamente.
Chi teorizza l’esternalizzazione non pensa al futuro nemmeno della sua azienda. Tanto più che in questa fase di crisi non presenta piani industriali, azioni di rilancio, nuove strategie di prodotto o di mercato. Semplicemente licenzia ed esternalizza. Scriviamo a lei perché siamo 29 lavoratori licenziandi, ma anche 29 persone. 29 storie diverse di famiglie con figli da crescere, di giovani e meno giovani che non hanno altre entrate se non lo stipendio, coppie in attesa del primo figlio o con figli di pochi mesi.
Troppo pochi per essere un caso nazionale? Troppo pochi per suscitare l’interesse delle grandi forze sociali del Paese? Ma non troppo pochi per essere tagliati con la falsa illusione che il semplice risparmio dei nostri stipendi (mediamente attorno ai 1000-1200 euro) risani i conti dell’azienda.
Scriviamo a lei perché chiediamo sostegno per la nostra battaglia. Vogliamo continuare a lavorare! L’azienda ripensi alle sue scelte, finora sempre sbagliate. Pensi ad una strategia di rilancio, magari basata su manager capaci e su idee nuove e non scopiazzate da altre reti.
E riparta dalla professionalità dei suoi dipendenti non considerandoli solo un costo da tagliare, ma un potenziale sul quale costruire per crescere. Del resto la televisione che il Gruppo L’Espresso ha sostanzialmente annientato in pochi anni, ha vissuto (e guadagnato) per oltre 20 anni. E noi ne facevamo parte.