L’hotel Raphael senza monetine. Questa è l’immagine che mi è venuta in mente quando alle 13.45 circa la Finocchiaro prima e Bettini e Letta e Fassino poi si sono messi in marcia tra comitive di giapponesi e scolaresche caciarone, a bocche cucite, passo lungo, occhio vitreo, sgomitando microfoni, in pausa pranzo, a digerir dimissioni e sensi di colpa, orgoglio e responsabilità. Come ho pensato sta cosa, mi son subito autocazziato perché l’hotel Raphael non c’entra, qui è tutt’altra storia, ovvio, e soprattutto, a rendere improprio l’accostamento c’era la totale mancanza di passione, partecipazione, indignazione o solidarietà di popolo verso ciò che ora dopo ora andava prendendo corpo in quel palazzo, in quella sede del Pd sulla porta della quale ogni settimana cambiano le insegne. Ma la fuga di chi doveva spiegare c’era tutta, e faceva male.
Il bacino di destinazione potenziale di quel terzo di paese che aveva votato Pd ad aprile si stava definitivamente smaterializzando, il segretario incoronato a ottobre 2007 stava alzando le mani in segno di resa alle sue mancanze e a quelle di tutto il gruppo dirigente, il profilo di Berlusconi e dei suoi vincenti candidati commercialisti e figli di commercialisti s’ingigantiva minuto dopo minuto sul futuro dell’Italia, le emozioni non mancavano, ma lì davanti non c’era lo straccio di un militante né di una bandiera, non una contestazione né un attestato di stima, niente di niente a pranzo, niente di niente nel pomeriggio, niente di niente a tarda sera.
Al capezzale del Pd martedì c’erano solo giornalisti, fotografi, cameraman, personaggi di Striscia la notizia, Paolini in posa dietro le telecamere di Sky, turisti, curiosi di passaggio, io. E nient’altro.