Esce oggi un libro di memorie di Luigi Bettazzi vescovo cattocomunista emerito di Ivrea dal titolo Apocalisse laica (In dialogo con i lontani. Memorie e riflessioni di un vescovo un po’ laico) in cui parla dei tentativi per salvare Moro e del dialogo fra laici e cattolici, dei pericolo dell’integralismo religioso di ogni tipo.
Prima di rendere pubblico il possibile scambio, «purtroppo il mio ossequio alle autorità superiori mi portò a chiedere il loro assenso». Ma il ministro vaticano degli Affari generali, il cardinale Giuseppe Caprio, impedì la trattativa. «Mi disse: “Non vede che stiamo andando in braccio al comunismo? Il Papa ha già fatto fin troppo a scrivere alle Brigate Rosse”. Paolo VI, infatti, aveva appena chiesto alle Br la liberazione “senza condizioni”, come gli avevano fatto aggiungere all’ultimo momento. Io replicai: “Ma c’è di mezzo la vita di un uomo”. La risposta mi agghiacciò perché era quella di Caifa in sinedrio nei confronti di Gesù: “Meglio che muoia un uomo solo, piuttosto che tutta la nazione perisca”. Sospirai: “Allora, facciamo come se non fossi venuto”. E mi fu ingiunto: “No, lei poteva non venire, ma ora che è venuto le proibiamo di agire”»
E nel pieno delle querelle bioetiche e della proliferazione di «sigle confessionali» (teocon, teodem, atei devoti), Bettazzi propone la laicità come antidoto all’integralismo religioso. «Nell’Italia di oggi la “questione cattolica”, che si riteneva risolta da un pezzo, riemerge con tutte le sue contraddizioni e ambiguità», osserva e scommette sui «cristiani anonimi». Sono «quelli che definiamo lontani ad essere veramente cristiani anche se rifiutano di dichiararlo» e la Chiesa «dovrebbe conoscere e valorizzare maggiormente i tanti che compiono ogni giorno il proprio dovere nel lavoro, nella vita privata, nella solidarietà». E che, senza proclami o toni da crociata, «sanno che a renderli pienamente umani è qualcosa di più sacro della vita fisica».