In « L’appel de la Colline » ou les brumes d’un consensus minimaliste, Maler traccia un’ analisi approfondita e corrosiva dell’ appello, ‘’mettendo in evidenza in maniera lampante le ambiguità e le cose non dette di questo testo nebbioso, redatto – spiega – strettamente dal punto di vista dei giornalisti professionali, dimenticando di difendere prima di tutto e soprattutto il diritto di essere informato dei cittadini (e le condizioni economiche concrete dell’ esercizio di questo diritto), così come la libertà di espressione di tutti, in particolare su internet e nei blog, di cui la libertà di stampa non è che un aspetto particolare’’.
Riaffiora il solito sospetto, nota Narvic, e cioè che i giornalisti invochino ‘’i grandi principi della democrazia soltanto quando servono a sostenere i propri interessi corporativi e che si guardano bene dall’ andare fino alle conseguenze della logica che sta alla base di questi principi: metersi al servizio dei cittadini significherebbe dar loro voce in capitolo e accettare di rendere conto a loro’’.
E poi, aggiunge, ‘’difendere il diritto all’ informazione senza porsi chiaramente la questione delle condizioni economiche del suo esercizio è semplicemente una vuota petizione di principio’’. A questo punto, rileva Narvic, ‘’i giornalisti smettano di meravigliarsi se questo appello al Popolo resta largamente senza risposta. Il fatto è che ancora una volta si sono dimenticati di imbarcare il popolo sulla loro nave’’.
La libertà di stampa non può essere uno scopo in sé, ma solo un mezzo: la condizione indispensabile non soltanto della libertà di opinione (che non può essere altro che libertà di pensare a titolo privato), ma soprattutto della libertà di espressione e di critica pubblica.
Il diritto all’ informazione non riguarda soltanto il diritto di disporre di informazioni, ma anche di poterle produrre. E quindi copre due diritti: quello di informare e quello di essere informati. E questi diritti presuppongono che sian o garantiti I mezzi per poterli esercitare. In altre parole: il diritto ad informare, come quello ad essere informato, non è o non dovrebbe essere un privilegio (e a maggior ragione un monopolio) dei giornalisti (e a maggior ragione delle aziende che li impiegano, soprattutto quelle per cui il primo obbiettivo è realizzare dei profitti) ma un diritto dei cittadini che, quando ci si tiene all’ altezza dei grandi principi, non saprebbero suddividere i beneficiari di questo diritto fra dei « cittadini passivi » a cui l’ in formazione è destinata e dei « cittadini attivi » che la producono. E’ una cosa scontata? E allora perché non dirlo?