Via Roberto Dadda
Ricordo come fosse oggi, anche se sono passati 15 anni. Ero seduto nella business class del volo United da New York a Milano e dal fascio delle riviste che mi ero comperato è uscita la nuovissima Wired.
Fu amore a prima vista, argomenti interessanti e insoliti, la grafica accattivante ed efficacie: leggerla divenne una gradevole consuetudine. Con il passare degli anni la cose si sono un poco raffreddate, negli ultimi tempi non riesco a non comperarlo, lo sfoglio, ma confesso che ne leggo pochissimi articoli. Wired ha perso almeno per me un poco del suo interesse ed è diventato un poco troppo modaiolo.
La reazione poi un poco spocchiosa e supponente di Chriss Anderson, il direttore, alle contestazioni mosse da studi accademici alla sua teoria della “coda lunga” (contestazioni piuttosto convincenti, ma quasi passate inosservata sui blog di casa nostra) mi ha molto deluso.
Quando ho letto in rete l’annuncio di Newhouse, capo della Condé Nast che nel 98 ha comperato la testata, del lancio della edizione italiana e inglese devo dire che sono rimasto un poco stupito. Lanciare su carta con tutti i costi e i rischi che comporta una rivista che vede nel suo target gente che nella rete si trova perfettamente a suo agio a me sembra un poco bizzarro.