Un grandissimo al solito Vittorio Zambardino per aver riassunto in poche parole tutto quello che ci serve
Oggi (ieri) e domani a Urbino c’è il Festival dei blog. Non è la prima edizione. Ma quest’anno c’è più di un motivo per dire che sarebbe il caso di sconvolgere l’agenda e rinunciare a rituali di recente formazione ma già molto consolidati e che si prendono maledettamente sul serio.
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Tesi: il giro di boa
La tesi che si sostiene qui è molto semplice: una crisi che brucia in pochi giorni l’equivalente del PIL statunitense di un anno non è una bolla che scoppia. E’ un giro di civiltà, una boa che si tocca per invertire la direzione di marcia, un fatto che rende non assurda l’affermazione che il web 2.0 si avvia alla sua fine.
Fine, ma intesa non come esaurimento dell’attività di blogging, della condivisione, della “vita sociale” in rete. A meno di uno sconvolgimento davvero apocalittico, quell’aspetto continuerà a vivere. E qui, come persone e come sito, ci sarà sempre visibilità e sostegno.
La fine economica
Ma fine intesa come cedimento strutturale del pilastro economico che tiene in vita aziende e creativi, e che permette l’avanzamento delle tecnologie abilitanti. Non è solo il programmatore di Google che all’improvviso, in un modello che non prevede stipendi fissi, vede andare in fumo il suo “variabile”. No. E’ anche il crollo, di schianto, di una zona di humus aziendale-marketing che aveva sorretto, stimolato il blogging con l’idea che si trattasse di un nuovo modo dell”informazione. Sarà un nuovo mondo, ma al momento ha il problema di guardagnarsi da vivere e pagarsi la casa – e sarà bene tener presente che viaggi gratis e conferenze stampa sulle navi d’ora in poi diminuiranno di brutto.
Credo che tutte queste cose vadano discusse. Qui lo si dice senza arroganza: nessuno ci gode e nessuna crisi dei media sarà risolta dal male altrui, anzi, è verosimile che nel mondo tra due-tre anni ci siano centinaia di stazioni televisive e di giornali in meno o perlomeno centinaia passate di mano con un’ulteriore concetrazioni in poche avide e politicamente intenzionate mani.
La fine di un approccio culturale
Sotto questo aspetto sarebbe bello che si cominciasse a por mente alla narrazione della crisi non nel senso dell’ennesino processo ai media, ma nella senso della sua comprensione, chiedendosi perché, ad esempio, in questo momento non vi sia più alcuna traccia di un ruolo dei blog nel metabolismo informativo (e parlo del mondo at large). Si può dire: quando il mondo si squaglia nel fuoco di una crisi che chiama in causa i misteri del potere e della finanza, giusto qualche blogger specializzato (ce ne sono anche in Italia) riesce ancora a dire qualcosa di sensato. Finita l’illusione di essere competenti, il rischio grave per molti blogger è di lamentarsi a vuoto sulla narrazione della crisi – il PIL degli Usa di un anno perso in pochi giorni, e ancora parlate di “terrorismo dei giornali”? Non sarà venuto il momento di cambiare approccio e mentalità?
La vita continua
La vita in rete continuerà: ma da oggi sarebbe meglio costruire il “discorso” al di fuori di certi pregiudizi da vecchine, essere meno autoreferenziali, non aver paura di calare la propria esistenza come blogger dentro la politica e l’economia, dentro il dibattito reale, rinunciando definitivamente all’idea di rappresentare “un altro e un altrove” migliore di ciò che c’è. Non siete migliori di noi, questo lo si è sempre saputo. E oggi siete anche muti. E’ tempo di imparare una lingua comune.