Via Alberto Fattori
Tempo fa, leggendo un libro sul Made in Italy, con tanto di prefazione del Presidente di Confindustria Montezemolo, ho avuto modo di conoscere da vicino la storia di alcuni dei nostri “campioni” del Made in Italy, mostrati quali esempi da imitare per aver successo nel futuro globalizzato che avanza.
Una di queste storie, riguardava il giovanissimo Matteo Cambi, che attorno ad una semplicissima margherita stampata su una T-Shirt, ha creato un impero ad altissimo tasso VIP: la famosissima GURU.
Nella descrizione che lui stesso faceva del suo successo, mi avevano colpito due cose:
la prima, il ruolo dei genitori, reali “deux ex machina” della società, con una competenza del settore reale, con il risultato che il ruolo del figlio, poteva essere al massimo considerato quello di un semplice Public Relation, di alto profilo.
La seconda, che poco realmente fosse prodotto in Italia, ma in altri paesi ben più a basso costo del lavoro, fatto che lo stesso Cambi sottolineava, una anomalia non secondaria, in un libro riguardante il Made in Italy, oltretutto sottoscritto dal Presidente di Confindustria
Il progetto di espansione internazionale descritto da Cambi era poi sicuramente affascinante, così come la sinergia con i mondi dei “lustrini e pailliettes” che lo rendeva uno dei simboli delle nuove generazioni imprenditoriali di successo e quindi parte del futuro luminoso del Made in Italy italiano nel mondo.
Bene, oggi leggo dell’arresto di Matteo Cambi, dopo che nei giorni scorsi, la richiesta di fallimento della Guru, era stata sostenuta incredibilmente anche dagli stessi creditori.
La notizia di oggi è connessa anche con il tentativo di salvataggio dei giorni scorsi, attraverso l’affitto del marchio Guru agli indiani della Bombay Rayons Fashions, per 33 Milioni di euro.