Massimo Gramelini su Lastampa.it
Ieri mattina, per alcune ore, l’Italia è andata in clic. Chiunque avesse un computer a portata di mouse tentava di entrare sul sito dell’Agenzia delle entrate per leggervi la dichiarazione dei redditi dell’amico, del nemico, ma soprattutto del vicino di scrivania, allo scopo di scoprire quel che del resto aveva sempre sospettato: che l’altro guadagna un euro più di lui. Prima che il garante della privacy interrompesse il nuovo sport nazionale, a terra giacevano già morti e feriti. Il più illustre era Beppe Grillo, che dopo aver esaltato fino all’altro giorno la trasparenza democratica di Internet, finiva fra le fauci della tigre che aveva tentato di cavalcare: subissato dai «vaffa» dei suoi grillini, esterrefatti alla scoperta che il loro guru intasca 4 milioni di euro l’anno.
A esser sinceri, Grillo predica l’onestà, mica la povertà, e sui quei 4 milioni paga regolari tasse, ma il populismo di queste sottigliezze se ne infischia. Montanelli sosteneva che l’italiano medio, quando vede passare una bella macchina per strada, non pensa al modo migliore di procurarsene una, ma a quello più sicuro di tagliarle le gomme. E l’italiano medio descritto da Montanelli non aveva ancora accesso alla Rete, strumento tecnologico che fra le sue tante qualità ha anche il non piccolo difetto di accarezzare la pigrizia. Qualsiasi cittadino, infatti, può entrare in un ufficio del fisco e compulsare le dichiarazione dei redditi di chi gli pare. Ma bisogna essere molto motivati, o molto disoccupati, per farlo. Internet invece è lì, a un passo dalle tue mani: basta un clic sulla tastiera e sei già dentro il formaggio, a rivoltarti come un topolino. E così una notizia che tale non è (le dichiarazioni, ripeto, sono pubbliche e accessibili) lo diventa grazie alla comodità della sua fruizione. Cercando risposte alle proprie ossessioni
Ma cosa cercava, veramente, chi ieri compulsava sul video le liste dei contribuenti? La risposta alle proprie ossessioni. Non esiste essere umano che non si senta sottopagato e trattato ingiustamente rispetto al collega che lavora peggio e meno di lui. Ed è al reddito di quel collega che ogni discriminato, reale o presunto, è andato a fare le pulci. Avendo più tempo a disposizione, si sarà forse spinto a vedere quanto guadagna il noto calciatore o il regista politicamente impegnato. Ma molto più che le curiosità collettive, a possederlo era il suo piccolo mostro personale: un rivale di carriera o magari d’alcova. Debolezze sulle quali sarebbe fin troppo facile maramaldeggiare con il ghigno dei moralisti. Più interessante è chiedersi se la fotografia di queste piccole invidie sia stata quantomeno corretta.
I redditi fissi, i soli davvero messi a nudo
Neanche per sogno. Intanto perché il buco della serratura di Internet non scruta il presente, ma un passato che risale ai redditi di tre anni prima. Ma soprattutto perché l’immagine che rivela è sfocata, quando non addirittura bugiarda. Persino il contribuente più onesto dichiara meno che può. E i soli per i quali quel «meno» equivale purtroppo al totale sono i dipendenti a reddito fisso. Al solito, le vere vittime. Essendo gli unici costretti a mettersi completamente a nudo, hanno finito per essere anche gli unici di cui tutti potevano esplorare morbosamente le fattezze. Il bello, si fa per dire, è che a ficcare il nasino indignato nelle loro vergogne, moraleggiando sui redditi svelati, saranno stati anche quegli italiani che alimentano l’altro reddito. Un reddito che non sfila in passerella su Internet, ma preferisce restare in camerino a farsi gli affari suoi: gli habitué lo chiamano «il Nero», ma il razzismo non c’entra, ve l’assicuro.